Open, scritto a quattro mani con la moglie Arabella Holzbog, è un patchwork di piccole storie che strizzano l’occhio allo spettatore con numeri a effetto, multimedialità, ironia e umorismo, all’insegna del più puro entertainment. “Un antidoto alla complicazione della vita”, come dichiara l o stesso Ezralow. Uno spettacolare inno alla libertà creativa, al ciclo della vita e alla rivisitazione dei successi da lui creati, volto a trasportare il pubblico in una nuova dimensione dove umorismo e intensità danno vita a una miscela esplosiva di stra ordinaria fantasia creativa ed emozione scenica.
“Prima di chiamare lo spettacolo Open, pensando a Calvino avevo pensato a Recostruction, perché dobbiamo continuamente rimuovere e ricostruire. Il titolo però non funzionava, così mia moglie mi ha suggerito Open: una parola che, con le sue quattro lettere molto bilanciate ha in sé tanta energia. I motivi per cui ho deciso di chiamare lo spettacolo Open sono diversi: aperti possono essere il cuore, la mente, gli occhi, una finestra. Open vuol dire aperto al mondo, al lavoro, al business, agli altri. Bisogna guardare al presente senza remore, appunto con mente aperta. La vita è spesso pesante, ma abbiamo tanta energia positiva che aiuta a risolvere i problemi. Il titolo fa riferimento a un’apertura culturale ma anche stilistica. A me piace mescolare. La mia formazione non è classica, quindi ci sono poche punte; non è neanche la break dance, quindi non roteo tanto sulla testa. Posso però usare ognuno di questi elementi per comunicare il senso del momento”.
Sul palcoscenico di Open, oltre ad una scenografia molto semplice composta di quattro pannelli su cui vengono proiettati una successione di quadri visivi e vignette in movimento, vi sono otto ballerini della sua compagnia americana che, nelle numerose sequenze di gruppo, così come negli assoli, coniugano con scioltezza il linguaggio neoclassico e la modern dance, incantando il pubblico in un mix tra sorpresa, divertimento, leggerezza e agilità. Nella coreografia si susseguono emozioni e sensazioni differenti, come l’ironia, il dolore, o la speranza, fino ad arrivare a un’idea ecologista.
“In Open c’è il contrasto tra città e natura, laddove solo quest’ultima può liberare l’uomo dalla frenesia della vita.
Il filo conduttore è che attraverso la città arrivo alla natura. Ritengo che oggi i più giovani siano cresciuti con dei nuovi valori che noi non avevamo, come il rispetto per l’ecologia. L’ho visto in mio figlio che a dieci anni nella sua scuola di Los Angeles aveva seguito programmi innovativi sul rimboschimento. Saranno loro a salvare il mondo. Con questo spettacolo la mia intenzione non è raccontare una storia, tant’è che il clima è piuttosto astratto, ma sono i vari elementi messi insieme a fare la storia. I danzatori per metà spettacolo sono vestiti, per l’altra metà sono nudi ma dipinti. E’ stato a diciannove anni che avevo scoperto che potevo esprimermi e raccontare col corpo.
Del resto il nostro linguaggio nasce dal corpo, che è il nostro strumento. La tecnica, invece, è un modo di esprimersi; a differire s ono solo le finalità”.
Negli anni ’80, con Momix e Iso, Ezralow ha rinnovato la danza contemporanea rendendola giocosa, atletica, popolare, collaborando anche con rockstar come gli U2. Con Open, invece, punta sulla classica.
“Sono una persona che ha dedicato la vita alla creatività del movimento in ogni spazio: palcoscenico classico, Broadway, televisione. Per me l’atto creativo è sacro e può insorgere dalla cosa in apparenza più inutile. Nell’inseguirlo, le mie cellule provocano una reazione che fa vivere l’opera stessa. Non so dire dove sta andando la danza, semplicemente perché è molto più grande di noi ed è un istinto per me. L’importante è essere nell’oggi con il proprio bagaglio, perché è lo spirito che cambia. La mia danza è fisicità, ironia, leggerezza e tanta gioia. Non voglio un pubblico annoiato , ma felice e convinto, che quando esce dal teatro porti via qualcosa attraverso gli occhi. Voglio sorprenderlo. Così per Open ho scelto la musica classica e quella che ho scelto è alla portata di tutti, come nel film “Fantasia” di Disney. Ho scelto proprio la più tradizionale e conosciuta, come i Notturni di Chopin e le musiche più celebri di Rossini, Beethoven, Bach. Creano un bel contrasto. Ritengo sia un po’ scontato ormai costruire un balletto su una musica rock o elettronica oppure su una musica classica trasformata in musica rock. Dagli anni ‘80 in poi si è instaurato un legame fortissimo tra la danza e la musica pop-rock. I musicisti avevano cominciato ad affidare ai coreografi i videoclip delle loro canzoni e i ballerini delle grandi accademie si erano ritrovati a interpretare i Beatles. In questa idea, però, secondo me non c’è molto di nuovo. La novità, invece, è vedere un ballerino jazz o hip hop che danza sull’ouverture del Guglielmo Tell di Rossini. Sono assolutamente convinto che le coreografie possano aiutare i giovani ad avvicinarsi alla musica classica. La classica oggi ha tanto da dire, in questo senso è nuovissima. In fondo è Lei che tiene insieme la danza classica, quella moderna e l’hip hop. L’artista deve sempre de-costruire per rinnovarsi, è fondamentale per la creatività e in questa fase della mia vita mi rendo conto che la musica classica è molto moderna. Bach, ad esempio, è pazzesco. Se lo ascolti, dopo non ti piace più neanche il rock ”.
Ezralow non vede una grande differenza nella formazione dei ballerini italiani e americani.
“Più della nazionalità, nella loro formazione emerge l’origine, vale a dire se un danzatore ha iniziato in televisione o in teatro oppure in strada per divertir si e poi gli è stato consigliato di seguire un corso. Un tempo in Italia i danzatori non capivano la lezione di Martha Graham, oggi invece tutti conoscono l’importanza della contrazione e sanno che ogni movimento parte dal centro del corpo”